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Guglielmi traccia un originale bilancio della letteratura italiana contemporanea, dal 1950 a oggi, attraverso il rapporto tra realtà e rappresentazione artistica, ovvero come i fatti si trasformano in racconto letterario. Un rapporto che chiama in causa categorie sfuggenti come quella di realismo o di imitazione: la fiducia nella capacità del linguaggio di rappresentare la realtà è entrata definitivamente in crisi alla metà dell'Ottocento, con Baudelaire, Flaubert, Manet - e lì bisogna cercare le radici delle avanguardie novecentesche, che usano la lingua per andare oltre le apparenze, per rivelare una verità nascosta. Un percorso cronologico scandisce l'analisi pungente degli autori e delle correnti, individuando tre vie seguite in Italia dai narratori per "provocare" la realtà e renderla ancora rivelatrice: la linea del fantastico-fiabesco di Calvino, la linea del barocco linguistico di Gadda e la linea del lirismo vittoriniano. A queste scelte "progressive" si sono invece contrapposti i "conservatori" che continuavano a guardare all'Ottocento, Moravia e Pratolini su tutti. Oggi si parla infine di un "ritorno alla realtà", di storie che nascono dalla cronaca e dall'attualità: per Guglielmi, tuttavia, il romanzo storico è l'unico genere che produce il distacco necessario affinchè i fatti acquistino il valore metafisico che li rende narrabili romanzescamente.